Non basta la semplice somiglianza tra prodotti per giustificare un sequestro sulla base del Codice della proprietà industriale. A precisarlo, intervenendo per la prima volta sulla portata della norma che ha rafforzato la tutela penale sui proI dotti di serie, è stata la Cassazione con la sentenza n. 19512 della Quinta sezione penale. Il caso approdato sino alla Corte era relativo al provvedimento di sequestro preventivo disposto dal Gip di Genova su richiesta del Pm che, per la verità, lo aveva sollecitato per i reati di introduzione e commercio di prodotti con segni falsi e di ricettazione. Il giudice delle indagini preliminari lo aveva invece concesso sulla base dell'articolo 127 del decreto legislativo n. 30 del 2005 (Codice della proprietà industriale) per somiglianza con il prodotto originale, tale da essere idonea a provocare confusione tra i consumatori. Il tribunale del riesame aveva poi annullato il decreto del Gip, sostenendo che la norma non era stata ancora introdotta al momento della commissione dell' illecito, ma aveva mantenuto il sequestro sulla base della disposizione del Codice penale per cui è sempre disposta la confisca di cose la cui alienazione costituisce reato. Ora la Cassazione, intervenendo sul punto, ha innanzitutto precisato che il Codice della proprietà industriale sanziona condotte punibili a querela di parte e al di fuori dei casi di falso e di vendita di prodotti industriali con segni menzogneri. «Si tratta perciò - ha puntualizzato la Corte - di ipotesi sussidiarie espressamente limitate alla tutela del patrimonio privato, il cui accertamento è legato a parametri diversi, se si vuole residui, rispetto ai parametri richiesti dalle norme incriminatrici del Codice, le quali assorbono lo specifico interesse patrimoniale in altro collettivo di maggior rilievo (fede pubblica e mercato)>>. La norma infatti, chiarisce ancora la Cassazione, protegge il prodotto industriale solo se coperto da un titolo di proprietà (per esempio un brevetto) relativo a progetto, struttura, componenti, assemblaggio, confezione o un altro elemento che, al di là del marchio, ne renda esclusiva la fabbricazione e il commercio. «E non configura una ipotesi minore di imitazione del marchio o di confondibilità degli acquirenti circa l' origine e la qualità di una merce (...) per quanto tali aspetti possano essere sintomi di lesione di un diritto altrui di proprietà industriale». Dopo questa premessa la sentenza osserva che non basta la somiglianza per ritenere che si tratti di un vizio intrinseco che giustifica la sottrazione della merce dal commercio. Così è necessario procedere a un nuovo esame che tenga fermi alcuni punti come la verifica se al momento del sequestro i prodotti sospetti fossero stati messi in vendita. Inoltre, tocca al giudice di merito e non a quello del riesame stabilire il livello della capacità imitativa di un marchio. Infine, la semplice somiglianza rappresenta «un indice insufficiente se non incongruo» nell'ambito della tutela del Codice: a rilevare sono piuttosto altri elementi (componenti, assemblaggio, confezione) tali da rendere esclusiva produzione e circolazione.